Terre Selvagge – Argentina

Hai una trave nell’occhio

ELEFANTE BLANCO di Pablo Trapero (2012)

Elefante BlancoIl vero mattatore del cinema argentino degli ultimi anni è senza dubbio Ricardo Darin. Sarà lui a condurci in questa seconda tappa del nostro viaggio verso ambienti che solitamente i viaggiatori tendono a evitare. Siamo a Buenos Aires, ma la capitale è immensa e alcune sue propaggini assomigliano a favelas: qui le chiamano villa. L’elefante bianco del titolo non è altro che lo scheletro di un pachiderma di cemento. Il tentativo abortito di un enorme complesso ospedaliero che si è risolto in fallimento e ora abitato da disperati e dalla congregazione di padre Julian che non intende arrendersi al degrado e alla disperazione del barrio. A suo fianco Luciana, assistente sociale, e padre Nicolas, un religioso belga scampato per miracolo alla distruzione della sua missione in Amazzonia. Curioso come l’attacco della pellicola di Pablo Trapero – da recuperare anche El Clan, vincitore del Leone d’Argento per la miglior regia al Festival di Venezia del 2015 – rimandi tematicamente alla ferocia animalesca, declinata secondo toni e modalità diverse, di Relatos Salvajes.

La grandiosa struttura dell’ospedale mancato è proprio quel problema che tutti vedono ma che nessuno vuole davvero affrontare. Una poderosa e manifesta metafora, tanto ingombrante da definire i rapporti stessi dei personaggi. Da un lato abbiamo padre Julian il quale cerca di nascondere una malattia che lo sta portando alla tomba, dall’altro una relazione clandestina che unisce dolorosamente le esistenze di Luciana e padre Nicolas. Ciò che accade ai personaggi di Elefante Blanco, questa difficoltà a misurarsi con le proprie debolezze o fallimenti, riflette la disgraziata vita all’interno della villa, diventando monito verso quelle istituzioni che dimenticano, o volontariamente trascurano, un problema sociale pronto a  esplodere.