Journey of the Dead

Journey of the Dead

Con apprensione ci stiamo avvicinando a Novembre. L’idea che qualche adolescente globalizzato mi suoni alla porta vestito da zombi minacciando: «Dolcetto o scherzetto» mi fa già montare il sangue al cervello. Lo so, sono un trombone conservatore. Certo di essere in buona compagnia provo a ritornare calmo ricordando i bei vecchi tempi della Restaurazione. Ma stavolta ho un motivo anch’io per festeggiare Halloween. È un’occasione per ricordare una persona che sulla paura del ritorno dei morti ha costruito una carriera: George A. Romero. Come abbiamo avuto modo di ricordare nel precedente viaggio in Corea del Sud, il maestro dell’horror è venuto a mancare il 16 Luglio scorso e ha lasciato un vuoto incolmabile per un’intera schiera di seguaci. Romero non solo ha creato un sottogenere che, nel corso dei decenni, ha dato vita a infinite realizzazioni mediali: film, saga fumettistica e serie tv. Non solo ha dato “vita” a una figura allo stesso tempo vecchia e nuova. Lo zombi della tradizione voodoo haitiana viene riplasmato arricchendolo con un appetito insaziabile di carne umana. Al terrore dei morti che tornano in vita si aggiunge la paura ancestrale dell’essere divorati. Non solo l’autore di Pittsburgh ci ha ricordato quale sia la vera forza del genere: attirare il pubblico con storie all’apparenza di puro intrattenimento, esprimendo al contrario una visione lucida della società in cui viviamo. I film di Romero sono riflessioni feroci e puntuali, satire violente la cui portata principale è l’uomo.

George A. Romero non è solo questo. Ha fatto innamorare del cinema (horror) il trombone che sta scrivendo. La sua zombi opera, cominciata con The Night of the Living Dead, è diventata quasi un feticcio per me, tanto da farne oggetto di tesi dei laurea. Quindi, da vero zombi quale sono, continuo a ripetere ciò mi qualifica e torno a scrivere di morti viventi, per l’eternità.