Journey of the Dead

R.I.P.

SURVIVAL OF THE DEAD (2009)

Non c’è mai stata una vera continuità tra i film di Romero dedicati ai morti Survival of the Deadviventi. Specialmente nei primi quattro, benché vi sia una sorta di omogeneità nella struttura da film d’assedio, non esiste un legame temporale. Ogni film riparte da zero, altrimenti non ti spiegheresti l’abbigliamento e la tecnologia che appartiene esattamente al periodo storico nel quale ogni pellicola è stata prodotta. É come se Romero, similmente alle sue creature, non sia capace che ripetere ossessivamente lo stesso film in contesti temporali diversi. Con Survival of the Dead, al contrario, ci troviamo a una sorta di spin-off del capitolo precedente. Il gruppo di soldati che i filmmakers di Diary of the Dead incontrano nella loro fuga, li ritroviamo protagonisti nell’ultima fatica di Romero. Ricordate quando si vagheggiava della possibilità  di trasferirsi su un isola, come soluzione ultimi ai morti che azzannano? Bene, Survival of the Dead è la risposta.

Ma una volta realizzata questa prospettiva non va proprio benissimo. Soprattutto se sull’isola suddetta vi sono due fazioni che si contrappongono da tempo immemore in una sorta di diatriba da antico testamento. Da una parte coloro che non si vogliono separare dai loro cari tornati come zombi, potrebbero abituarsi a non mangiare carne umana, dopotutto. Magari quella di cavallo? Dall’altro i promotori della tolleranza zero: i morti devono restare sotto terra. In questa tenzone dal sapore western – i caporioni delle due fazioni sono tenutari di ranch – si salva solo chi decide di non schierarsi. Il vero problema ancora una volta, è l’innata tendenza dell’uomo a farsi del male con le proprie mani. A ripetere sempre gli stessi errori. L’ultima inquadratura del film riporta a questa condizione insopprimibile nell’uomo. Survival of the Dead, ahinoi, è diventato anche il testamento di George A. Romero. In questo ultimo lavoro, forse non il più ispirato, il regista si toglie lo sfizio di approfondire alcune tematiche – come l’idea di ammansire gli zombi o l’utilizzo di una location come l’isola – che da sempre avrebbe voluto inserire in una sua pellicola. In Survival of the Dead c’è tutto Romero: allegorie, riflessioni e gore. Ma non equivocate, nonostante il pessimismo di fondo che permea la sua opera il regista di Pittsburgh non ha mai disperato. In quasi tutti i film c’è la speranza di un nuovo inizio, di una possibile redenzione. In Survival of the Dead, per esempio, i sopravvissuti riprendono la nave con la quale sono giunti sull’isola, andando alla ricerca di un posto dove stare.

Il vero messaggio che George Romero lascia ai posteri no riguarda la natura intimamente feroce dell’uomo, ma l’idea che non è scritto da nessuno parte che tutto debba ripetersi.

Bisogna continuare a cercare…