Esilio in patria
TAXI TEHERAN di Jafar Panahi (2015)
Dove sono gli autori perseguitati? Uno su tutti? Jafar Panahi. Panahi è stato arrestato con i suoi famigliari e accusato di propaganda antigovernativa. Non è servita la levata di scudi di colleghi, amici, associazioni e nel dicembre dello stesso anno viene condannato a sei mesi di prigionia e al divieto per vent’anni di dirigere qualsiasi film, di rilasciare interviste o di lasciare il paese. A questo punto Panahi diventa un uomo in esilio nel suo stesso paese, un ripudiato si può dire. Comincia una nuova vita, anche e soprattutto creativa. Ricordate quel pensiero secondo cui le difficoltà e le ristrettezze aguzzano l’ingegno? Ecco, questo è Jafar Panahi. Nel 2011 in attesa dell’appello, scrive e dirige il documentario This is not a film. Riesce a contrabbandarlo fuori dall’Iran e a presentarlo fuori concorso al Festival di Cannes 2011.
Non finisce qui, Panahi non cede e continua a girare, trovando soluzioni alternative alle restrizioni imposte. Il risultato è Taxi Teheran. Un film on the road in cui lo stesso Panahi si improvvisa taxista trasportando persone di diversa estrazione sociale: un amico di vecchia data, una nipotina sveglia che deve girare un cortometraggio per un concorso scolastico ed estranei di ogni tipo. L’espediente, oltre alle sue ovvie ragioni di pragmatismo, è anche un modo per raccontare l’Iran di oggi, della diversa interpretazione della vita tra coloro che vorrebbero una letterale applicazione della sharia e chi propende per uno stato laico.
Teheran, a parte la presenza del velo per le donne, ricorda molto le caotiche metropoli occidentali. Ti sembra di riconoscerla. Devo ammetterlo, inizialmente di fronte ad alcune scene spesso divertenti e leggere, ho pensato fosse un esperimento tutto sommato già visto. Quanto mi sbagliavo. L’aspetto realmente impressionante del film è come in un clima colloquiale e prevalentemente sereno, vengano a galla molto le contraddizioni e le difficoltà di vivere in un regime restrittivo che condiziona davvero la vita quotidiana delle persone. Un ragazzo aspirante attore deve procurarsi i film occidentali di contrabbando, benché sia risaputo che tutti li guardino. Un amico di Panahi racconta di come è stato derubato da gente che conosceva, ma che sapeva in serie difficoltà economiche. Denunciarli? Questo avrebbe comportato un processo che sarebbe potuto finire anche con una sentenza capitale. E allora cosa fare? Infine la nipotina petulante e scafata di Panahi racconta del suo progetto filmico. Per realizzare un prodotto che ambisca a essere distribuito il regista deve rispettare delle regole ben definite. Qui Panahi le chiede di smettere, non vuole più sentire. Quelle catene che hanno compromesso il suo lavoro fanno sentire lo loro stretta, e quel taxi sembra stringersi attorno a lui.