Fotografare uno sconosciuto

Fotografare uno sconosciuto www.ishoottravels.com your ticket to travel photography. Blog di fotografia di viaggi. © Galli / Trevisan
Fotografare uno sconosciuto

Una delle più grandi sfide per un fotografo è quella di fotografare uno sconosciuto.

Quando visito una località o una città lontana da casa spesso una delle cose che mi colpisce di più è proprio la diversità. Diversità culturale, linguistica, di costume e perché no, anche diversità etnica.

E cosa più dell’uomo può aiutarci a sintetizzare tutto questo in un’immagine?

Se da una parte amo fotografare le persone, d’altra parte invece sono sempre combattuto e anche un po’ spaventato dall’approccio che dovrei tenere.

Sarà una banalità, ma fotografare uno sconosciuto non è affatto come fotografare un paesaggio o un monumento; questi ultimi non pensano, non si muovono e soprattutto non reagiscono.

Però è anche vero che fare un bel ritratto ad un estraneo è una delle esperienze più gratificanti che si possano fare in fotografia.

Fondamentalmente esistono due differenti approcci per fotografare uno sconosciuto.

“RUBARE” LO SCATTO

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A volte la miglior soluzione per fotografare uno sconosciuto è quella di “rubare” lo scatto.

Ovvero, vedo una persona che per qualche ragione stimola il mio interesse e cerco di realizzare una fotografia senza che questo se ne accorga. Solitamente agisco come un morboso stalker: mi avvicino e cerco di capire quale sia il miglior punto di vista. Sempre di soppiatto preparo i giusti settaggi per la luce e aspetto il momento buono per avvicinare la macchina all’occhio e scattare fulmineamente.

I PRO

Tutto questo andrebbe fatto senza essere notati. L’ideale, per questo tipo di approccio, è sempre cercare di essere discreti e rapidi. È buona norma quindi cercare di agire nell’ombra. Riuscire a non farci notare è la miglior via per avere buone possibilità di ottenere uno scatto molto naturale. Nella ritrattistica  infatti un’espressione spontanea riesce spesso a donare molto spessore alla fotografia: a tal proposito non va mai dimenticato che ritrarre una persona non ha nulla a che vedere con riprodurre le sue fattezze. Per quello esistono le fototessere. Fare un ritratto è molto di più:

ritrarre significa catturare ciò che non è visibile a occhio nudo.

I CONTRO

Questo approccio ha anche un lato negativo della medaglia, in quanto c’è sempre un’alta possibilità di insuccesso.

È probabile che accada un errore tecnico. A volte l’esposizione, impostata frettolosamente, non è quella giusta, altre volte si può incappare in un errore di fuoco, altre ancora invece si più incorrere in un micromosso.

L’altro problema che capita frequentemente è quello di essere “scoperti”. La reazione di chi si accorge di aver un fotografo che gli ronza attorno senza il suo consenso è spesso quella di chiusura e rabbia. A pensarci bene non è di certo da biasimare in quanto stiamo parlando, in una certa misura, di violazione della privacy, di quel che dovrebbe essere privato ma viene ignorato.

L’ideale in questi casi sarebbe avere una macchina fotografica di piccole dimensioni, in modo da risultare il più discreti possibile. Una grossa reflex non è di certo lo strumento per non dare nell’occhio. Intimorisce e spesso desta attenzioni.

CHIEDERE IL PERMESSO

Una volta ottenuta l’immagine sarebbe sempre buona norma comunicare con la persona ritratta, io per lo meno lo faccio. Un giusto approccio potrebbe essere quello di avvicinarci e dirgli qualcosa del tipo: “Buongiorno, sono un fotografo, non ho potuto fare a meno di notare che lei è una persona veramente affascinante e non ho resistito dal farle un ritratto.”

La gentilezza e la cortesia pagano sempre.

CONOSCERE LA PERSONA CHE VOGLIAMO RITRARRE

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Il secondo approccio, quello che solitamente utilizzo di più, è quello di un approccio più consono alla mia natura.

Come fotografo di moda sono abituato a fotografare degli sconosciuti e benché questi siano professionisti pagati per esser fotografati, restano degli sconosciuti. Inoltre sempre per il retaggio della mia professione, amo avere il massimo controllo su ciò che faccio. Solitamente nel mio lavoro ho un’intera squadra composta da truccatori, parrucchieri, stylist e assistenti: sono tutti al servizio della fotografia che stiamo realizzando insieme, per cui c’è sempre molta cura per ogni dettaglio.

Nonostante questo modus operandi non sia possibile nella fotografia di strada, tuttavia lo stile rimane quello.

Infatti anche quando mi cimento nella street photography mi interessa molto il rapporto fra il soggetto e l’ambiente che lo circonda così come mi interessa la direzione e la qualità della luce. Diciamo che sono un po’ schizzinoso su certi parametri che per me una foto deve avere. Per questa ragione non amo le fotografie in stile mordi e fuggi, poiché è molto difficile riuscire ad avere un controllo globale.

Questo approccio prevede di conoscere prima la persona da ritrarre.

A differenza del metodo da stalker in questo caso mi avvicino alla persona prima di ritrarla, spiegandogli le mie intenzioni. A volte chiedo semplicemente di essere ignorato, altre volte invece interagisco con loro chiedendogli di mettersi in un determinato punto, dove posare lo sguardo ecc.

PRESENTARCI

È abbastanza scontato il fatto che dobbiamo presentarci come si deve quando incontriamo delle nuove persone. Ricordiamo di non portargli via troppo tempo, a meno che non siano loro ad entusiasmarsi. Un sorriso e due parole su di noi sono più che sufficienti.

Inoltre è importante far capire subito alle persone che non stiamo cercando di vendergli nulla o che non siamo dei maniaci. Chiediamo loro se hanno due minuti di tempo da dedicarci per un ritratto e dopo averlo fatto rendiamoli partecipi mostrandogli la fotografia.

Prima di salutarli ricordiamoci sempre di ringraziarli per il tempo che ci hanno dedicato.

Se promettiamo di inviargli la foto… beh, facciamolo! Non è buona educazione infatti promettere e poi non mantenere la promessa fatta. Dopotutto loro ci hanno dedicato il loro tempo e noi li dobbiamo ripagare in qualche modo.

I PRO

Questo approccio mi dà una serie di benefici.

Innanzitutto nella stragrande maggioranza dei casi la gente è bendisposta e cortese.

Capitano situazioni nelle quali le persone sono semplicemente accondiscendenti ma fredde. In quei casi cerco di rubare loro meno tempo possibile per far sì che non si scoccino della mia non voluta presenza. Una volta ottenuta l’immagine che mi ero prefissato lascio un biglietto da visita, in caso volessero quell’immagine, saluto e me ne vado. Altre volte invece prima di impugnare la macchina fotografica per scattare possono passare anche delle ore.

NON SEMPRE VA BENE

Ricordo ad esempio in un viaggio fatto in Arizona una persona che si è rifiutata di farsi fotografare. Era un nativo americano che ha avvalorato questo suo diniego per ragioni religiose. A seguito di questo abbiamo avuto una lunga chiacchierata confrontandoci sulle diversità culturali fra me e lui. Sono stati dei minuti molto piacevoli e profondi. Alla fine, non so per quali ragioni, lui ha acconsentito a farsi fotografare. A quel punto mi son sentito io in dovere di rifiutare, per una questione di rispetto che ho maturato in seguito alla nostra conoscenza reciproca. Ma forse questo “non ritratto” è uno dei più belli che ho mai realizzato in quel viaggio.

PIÙ ATTENZIONE AI DETTAGLI

In secondo luogo il fatto che la persona sia consapevole che in quel momento le sto facendo un ritratto, mi consente di lavorare più “lentamente” e di prestare più attenzione ai settaggi della camera e ai dettagli della composizione.

CONOSCERE NUOVE PERSONE PER CRESCERE COME PERSONA

Infine, ma forse è il pro più importante, conoscere le persone mi permette di entrare nella loro vita anche per pochi minuti.

È come se per quel poco tempo le nostre vite si unissero creando un ricordo che durerà per sempre. Ed è un’esperienza piuttosto magica, dalla quale spesso se ne esce arricchiti.

Uno degli incontri più belli che abbia mai fatto nel ritrarre qualcuno è stato fatto in California. Io e Sara volevamo a tutti i costi fotografare la chiesetta di Kill Bill, capolavoro di Tarantino: quella per intenderci, famosa per il  capitolo 6 “Il Massacro ai Due Pini”.

L’idea era quella di fotografare la chiesetta all’alba ma, per  svariate ragioni, quel giorno siamo riusciti a recarci sul posto solo a tarda mattinata. Abbastanza delusi per le luci molto meno accattivanti abbiamo comunque fatto la nostra sessione fotografica per circa mezz’ora. Una volta terminata siamo saliti in auto per ripartire lungo il nostro viaggio.

A quel punto è arrivato Oscar, il pastore della chiesetta. Lui saluta, noi contraccambiamo e lui ci invita ad entrare. Ne segue una lunga conversazione che parte dal film di Tarantino per poi spostarsi su argomenti ben più importanti, come la differenza fra cattolicesimo e protestantesimo, fino a discutere sull’esistenza di Dio. Solo dopo circa due ore di conoscenza reciproca abbiamo realizzato degli scatti a Oscar e all’adorabile moglie.

In altre parole quella fotografia si è rivelata non solo l’occasione per conoscere due splendide persone, ma è stata anche un’occasione per conoscere meglio me stesso.