Nazarè, la città delle onde più grandi del mondo.

Nazarè, la città delle onde più grandi del mondo.

Difficile che, se avete letto un giornale, visto un telegiornale o anche passato solo poco più di un minuto su un qualsiasi social dal 20 gennaio (2018) ad oggi non vi siate imbattuti nel video mozzafiato di quella che è stata, probabilmente, l’onda più alta mai surfata: una montagna d’acqua di 35 metri, con una potenza difficilmente calcolabile e ancor meno immaginabile. Il condizionale in questi casi è d’obbligo, visto che sono ancora in corso le misurazioni, ma il precedente detentore del record, il surfista americano Gareth McNamara, si è già pubblicamente congratulato con Hugo Vau e il suo team (il pilota di jetski Alex Botelho e il safety Marcelo Luna). Il teatro di questo evento naturale e di questa performance sportiva senza precedenti è stato Nazarè, piccolo comune portoghese affacciato sull’oceano Atlantico, sulla Costa d’Argento, 120 km a nord di Lisbona.
Nazarè è un caratteristico paese di pescatori, composto da 3 nuclei differenti: Praia, al livello del mare, Paderneria, più spostato verso l’interno in zona collinare e Sitio, posto su di un promontorio. Percorrendo le strette vie di Sitio sino al termine dell’abitato e seguendo la strada si giunge al Forte de São Miguel Arcanjo (che oggi è sede di un museo che raccoglie cimeli dei surfisti che hanno domato le onde di quello spot e di una sala esplicativa che descrive nel dettaglio le condizioni che determinano la formazione di queste onde particolari) da cui si domina Praia do Norte, nome che fa sobbalzare il cuore di tutti gli appassionati di surf.


Era da parecchio tempo che sognavo di visitare Nazarè in inverno, periodo in cui è maggiore la possibilità che si formino onde di queste dimensioni e quando è quindi più facile vedere all’opera questi straordinari atleti. Certo, non possono nascondere un pizzico di amarezza pensando che l’onda dei record si è registrata un paio di settimane dopo la mia visita, ma quelle che ho avuto la fortuna di vedere mi hanno comunque lasciato a bocca aperta.

Lontano è lo stereotipo del surfista “tradizionale” che corre verso il bagnasciuga, si lancia tra le onde, per poi spostarsi a braccia fino al largo per iniziare a cavalcare le onde. In questo caso il campo di surfata viene raggiunto a bordo dei jetski, questo perchè la corrente è troppo forte ed è impensabile affrontarla a braccia. Il driver della moto d’acqua ha inoltre una funzione fondamentale: è colui che va recuperare il surfista una volta finita l’onda o, nella malaugurata evenienza di un wipeout, va a soccorrerlo e lo aiuta a recuperare la tavola. A loro si unisce un terzo membro del team appostato in una zona elevata che osserva l’andamento delle onde e si preoccupa di controllare l’esatta posizione del surfista e la comunica al driver. I piloti delle moto d’acqua sono nella quasi totalità dei casi esperti surfisti. Ovviamente l’outfit di questi atleti è una muta completa, con protezioni per la schiena ed il petto ed una bomboletta di aria compressa usata quando non riesce ad uscire dal vortice subacqueo.

Come per i surfisti che attendono ore in acqua l’onda giusta, anche per chi li vuole fotografare la pazienza è un elemento fondamentale. Nel mio caso mi sono appostato in un punto strategico che mi permetteva di coprire una buona parte del mare, in direzione di Praia Di Norte. Con me, quel giorno, c’erano almeno una decina di fotografi, sia amatori che professionisti al seguito degli atleti in mare. I surfisti pro non vogliono certo perdere la possibilità di essere immortalati durante le loro uscite, anche se si tratta solo di allenamenti. Per questo oltre a fotografi, hanno anche operatori video con droni di ultima generazione, sufficientemente potenti da poter volare sopra le onde nonostante il forte vento. Per poter avere delle foto soddisfacenti è necessario utilizzare un teleobiettivo, con lunghezza focale minima di 200mm, dal momento che l’azione si svolge ben lontano sia dalla riva che dalla scogliera.La macchina deve essere impostata con scatto veloce, in modalità I-Servo. Non può ovviamente mancare un monopiede o treppiede per sorreggere l’obiettivo e garantire la stabilità necessaria per ottenere immagini ferme. L’obiettivo è quello di ritrarre l’atleta in azione ma, allo stesso tempo, mostrare la maestosità dell’onda, quindi non è il caso di stringere troppo sul surfista ma è buona norma cercare di comprendere nel frame anche tutta l’onda. Dal momento che la maggior parte dell’azione avviene in buone condizioni di luce, non è necessario spingere il diaframma fino alla massima apertura e così facendo si riducono anche i rischi di avere immagini fuori fuoco. Non dimenticate che il soggetto è lontanissimo dal fotografo.


Non scoraggiatevi se vedete lunghi periodi di attesa, pensate sempre alla difficoltà di restare nell’acqua fredda e con correnti così impetuose. I surfisti non possono certo calcolare a cuor leggero quale onda provare, il rischio di wipeout e rottura della tavola è sempre dietro l’angolo. Senza contare che farsi riportare al largo dalla spiaggia, pur a bordo di una moto d’acqua è un’operazione tutt’altro che semplice.

Nella maggior parte dei casi l’attesa viene adeguatamente ricompensata. Questi scatti sono stati fatti proprio prima che tutti rientrassero. Quindi non abbandonare mai la scena prima che tutti quelli in mare siano rientrati.

Alla fine, quindi,  è tutta una questione di pazienza e di equilibrio…