Quante volte pianifichiamo un viaggio con il pretesto di rivedere un amico o un parente? È una buona occasione per visitare un paese e magari sfruttare la persona cui si reca visita per conoscere meglio luoghi, realtà, bellezze del posto. Tutta questa fiera dell’ovvietà per tornare al consueto parallelo viaggio fisico/viaggio cinematografico e, per la stessa ragione, introdurre Ulrich Seidl, l’amico austriaco a cui chiedere ospitalità.
Seidl è un regista affermato ormai, diciamo che ogni sua opera – soprattutto in ambito documentaristico – scatena le pruderie di molti cinefili. Anch’io ho conosciuto il lavoro di Seidl attraverso un documentario presentato a Venezia. In the Basement mette in scena, anzi, porta alla luce, ciò che il cittadino austriaco medio nasconde nel proprio scantinato. Da qui una inimmaginabile, divertente, caustica e improbabile, carrellata di sorprese. Vite al limite di un campione umano che mostra le proprie “passioni” senza il minimo pudore.
Ecco, pudore è una parola che nei film di Seidl possiamo dimenticare. Nessun infingimento, giri di parole o mascheramenti vari: Seidl sbatte sullo schermo le cose come stanno. Le emozioni umane vengono descritte così come sono vissute dalla gente comune. Non c’è nulla di particolarmente romantico o affascinante se non nell’estrema sincerità con cui queste vengono esposte. Appunto, senza pudore.
Se in In the Basement mette in scena ciò che gli austriaci nascondono nei propri scantinati, nella trilogia di Paradies il tema cardine è l’amore. Stavolta non si tratta di documentari, ma il medesimo approccio viene impiegato per descrive il più nobile dei sentimenti. E i risultati sono davvero inediti. Che l’amore potesse essere divertente, tragico, comico, grottesco, a volte disgustoso, altre violento, lo sapevamo già. Ma che potesse includere tutti questi aggettivi contemporaneamente lo abbiamo visto solo in una particolare circostanza: nella nostra vita.