Backpacker instancabile, artista di successo, persona estremamente sensibile. Australia, Lapponia, Kirghizistan e Cina sono solo alcune delle mete che ha visitato negli ultimi anni. E dopo un viaggio di un anno e mezzo lungo la Via della Seta sente il bisogno di ripartire per fare 900 km a piedi in India. Questo è Stefano Crespi che in questa intervista ci aiuta a capire come viaggi e arte si influenzano a vicenda.
10 botta e risposta
Nome: Stefano Crespi
Occupazione: artista viaggiatore
Luogo del cuore: piana del monte Guglielmo
Libro del cuore: In Asia di Terzani
Film preferito: Apocalipse Now di Coppola
Il giorno più bello della tua vita: quando durante un trekking mi si posò una farfalla sulla mano
Il giorno più brutto della tua vita: —
Il viaggio più bello: il prossimo
Il viaggio più brutto: il Vietnam
Il tuo motto: viaggiare è prima di tutto una questione di estrema fantasia
Ora conosciamoci meglio. Ci racconti un po’ di te?
Ho una spiccata attitudine per l’arte ed i colori in particolare. Credo fortemente nel viaggio come possibilità di crescita personale, che non si traduce solamente in un “mi miglioro come persona”, ma come strumento per far star bene chi mi sta attorno, portando pensieri ed esperienze positive. Credo che viaggiare possa aiutare a ridare una dimensione più umana a questo mondo, facendolo in maniera responsabile, senza paura, rapportandosi a persone e idee diverse. Io sostengo che se tu ti trovi in un bel posto ma le persone non ti piacciono, quello non è un bel posto. Viceversa, tu puoi essere anche in un posto normalissimo, quattro mura senza nulla di eclatante, ma le persone ti piacciono, allora quello è un bel posto. Un giorno probabilmente sfumeranno monumenti e nomi delle città, però ciò che ti danno le persone ti rimane dentro. A volte, quello che ti insegnano altre culture lo capisci dopo. Io ho dovuto camminare per oltre 1600 km per darmi il tempo di riflettere su un viaggio che mi ha tenuto impegnato un anno e mezzo. Che uno dice :“non hai fatto un cazzo per un anno e mezzo e non hai avuto tempo di riflettere?”…no, ho dovuto ancora fare 1600 km a piedi per pensarci. E mi è servito.
Si è appena conclusa la tua partecipazione al il progetto 7 Mila Miglia Lontano. Cosa ti ha lasciato quest’esperienza?
Innanzitutto mi ha fatto riflettere su come il turismo responsabile, ovvero quello che rispetta il posto e la sua popolazione, possa portare qualcosa di positivo, creando legami fraterni fra le persone, mentre quello di massa crea principalmente desideri repressi e rapporti artificiali basati sul guadagno. Io di questa esperienza sono soddisfatto al 100%. La prima incognita era: come mi troverò con i 3 compagni con cui viaggerò? Sai, un conto è conoscere una persona al bar per una birretta…beh così son bravi tutti. Ma quando poi subentra la stanchezza, il dover prendere decisioni, il gestire tensione, il non sapere dove andare a dormire… è un’altra cosa. Io non sapevo come queste persone (me compreso) avrebbero reagito in quei casi, infatti raramente viaggio in gruppo. Invece in questa avventura ho trovato 3 amici. Cosa non da poco. A modo nostro eravamo 4 persone matte, in modo differente. Si è però instaurato un clima di democrazia e fiducia nella provvidenza per cui il risultato è stato, tanto divertimento e bellissime esperienze dall’inizio alla fine. Sembra incredibile ma non c’è mai stato uno screzio. In sostanza il progetto 7MML mi ha trasmesso la certezza che a questo mondo esistono tante brave persone, vicine e lontane.
Qual è il viaggio che più ha segnato il tuo percorso e perché?
Sicuramente il viaggio più impegnativo che ho fatto, è stato quello da inizio luglio 2015 fino a ormai pochi giorni fa (Aprile 2017, ndr), perché in effetti lo considero un viaggio unico …
E’ quello che mi ha visto partire con Simona, la mia compagna, da Brescia in BlaBlaCar e piano piano ripercorrere la Via della Seta, dilungandomi nelle deviazioni per piacere e necessità.
Faccio una piccola parentesi. In passato, ho avuto un rapporto con il tempo che passa, un po’ conflittuale: questa cosa, ad esempio, la si ritrova spesso nelle mie opere. Le colature di pittura nei miei quadri non seguono serenamente la forza di gravità. Provocandole volontariamente,cerco poi di controllarne la direzione mentre capovolgo continuamente l’ opera. Però cosa succede, è un po’ come nella realtà: tu puoi sforzarti quanto vuoi di controllare le “traiettorie della vita”, ma poi alla fine, per una che va dove deve andare, ce ne è un’altra che si sovrappone inaspettatamente a ciò che non doveva. Quindi per me è sempre stata una rincorsa. La scoperta di poter viaggiare lentamente e di essere libero da schemi rigidi, ha fatto sì che comprendessi le tante opportunità insite semplicemente nell’accettare il tempo che passa. Vedendolo come un alleato: diciamo che non ho più quell’ansia che crea solo paraocchi e scuse … tu puoi avere i propositi e le idee più belle del mondo, ma se non sai riconoscere il momento giusto … sprechi un’ opportunità. Perché io ho fatto questo lungo viaggio adesso? Perché questo era il momento giusto per me. Sono ancora fisicamente forte, la mia compagna ha un’ indole curiosa, i miei genitori tutto sommato stanno bene ecc… Poi un domani chi lo sa, magari la mia figura servirà di più qua e comunque si aprirebbero nuove porte. Per adesso posso permettermi di star via due anni.
Quindi via della seta partendo con Blablacar da Brescia a Trieste e poi da lì con i mezzi pubblici attraverso Croazia, Serbia, Bosnia Erzegovina, Montenegro. Proseguendo in Albania, Kosovo, Macedonia, poi entrando in Bulgaria, da questa in Turchia, dalla Turchia all’Iran, all’Armenia, al Nagorno-Karabakh, che uno dice “che diamine è il Nagorno-Karabakh?”. Il Nagorno-Karabakh è uno stato che non è riconosciuto da tutti gli stati ed è rivendicato da Azeri e Armeni. Da qui in Georgia. Lì abbiamo interrotto questo filo della Via della Seta per via dei valichi di montagna chiusi per l’inverno. Abbiamo quindi preso un aereo per l’India perché scadeva il visto, attraversando le zone del Karnataka e del Tamil Nadu. Dall’India, avendo già visto precedentemente i posti di confine come Nepal e Bangladesh li abbiamo saltati. Quindi siamo andati in Tailandia, attraversandola da nord a sud via terra. Qui abbiamo visto un’isola fenomenale, che si chiama Ko Tarutao. Un parco naturale dove siamo andati in tenda e lì, dopo un periodo di sbattimenti logistici, ci siamo davvero rilassati. Stavamo sulle amache e l’unica cosa a cui dovevamo pensare era tenere lontano le scimmie con la fionda (ovviamente hanno vinto le scimmie aprendomi due volte la tenda con i denti). Lì il guardaparco ci ha suggerito di andare in canoa a visitare delle grotte molto suggestive. Decidiamo di ascoltarlo. Poi fa niente se quello che loro chiamavano fiume era un labirinto di vicoli d’acqua. Per fortuna abbiamo scelto quello giusto. Arriviamo a queste grotte, dove una volta vivevano i coccodrilli di mare. Per raggiungerle,dopo la pagaiata di ore, dovevi arrampicarti per un sentiero tra le rocce precluso alla canoa. Allora lasciamo le canoe per andare a vedere. Mi scappa l’occhio e vedo un cubo smangiucchiato di polistirolo nella foresta. Prendo il polistirolo, lo butto in acqua, prendo la pagaia, pila frontale e via nel cuore buio delle grotte. Ritornando a noi, dalla Tailandia siamo entrati in Malesia. La quale mi è piaciuta da morire. Oltretutto i Malesi parlano molto bene l’inglese, a differenza di me (ride, ndr). Lì abbiamo scelto di fare autostop per la prima volta. Solitamente sono restio, forse per protezione nei confronti della mia compagna. Eravamo in una Guesthouse in questo paesino sulla costa malese: c’era un signore, tale Patrick, del Lussemburgo, dall’aspetto hippie e dalla grande cultura. Viveva a detta sua, fra il mondo, ed il cammino di Santiago. Questo si è girato tutto il globo in autostop. Poi c’era quest’altro “ceffo” italiano che vive a Katmandu. Anche lui ha girato tutto il mondo in autostop. Gli ultimi erano una coppia di ragazzi, diciottenni Uruguaiani che, viaggiano esclusivamente in autostop. La mia morosa, che fra i due è quella di mentalità più aperta, ha detto “non ce ne andiamo di qua se non in autostop!”. Ed è stata comica perché le persone che abbiamo conosciuto sono partite da questo posto alzando il pollice. I’Italiano fa autostop e dopo dieci minuti di attesa, sale su un’auto. Il giorno dopo era il turno degli Uruguaiani: questi ci hanno messo un quarto d’ora. Il terzo giorno tocca a noi… Per essere più presentabile ho sfoggiato l’unica camicia che avevo. Abbiamo preparato il cartello. Ci siamo messi lì, bel sorriso, cartello bene in vista, con Patrick che nascosto, ci dava i suggerimenti su come fare autostop. Sembrava il papà che insegna al bambino ad andare in bicicletta. Fatto sta che passa un quarto d’ora, le macchine non si fermano. Venti minuti, mezz’ora. Niente. Simona mi dice, “spostati, provo io”. Va bene mi sposto: oh, dieci secondi dopo si è fermata la macchina. Da lì abbiamo infilato una serie di cinque mezzi diversi e siamo riusciti a raggiungere l’ostello che avevamo scelto, dalla parte opposta della Malesia, sul confine con Singapore.
Da Singapore ho preso un volo da solo per la Cambogia, che merita di essere visitata anche solo per Angkor Wat. Dopodiché mi sono ricongiunto con Simona in Malesia, che nel frattempo era dovuta rientrare in Italia qualche settimana per un progetto. Prima della partenza, la Malesia, non era stata presa nemmeno in considerazione nel viaggio ed invece ci siamo stati 2 mesi.
Tra l’altro ho realizzato che viaggiare, se lo vuoi veramente, non è una cosa così strettamente legata ai soldi. Ho conosciuto persone, ad esempio questa signora italo/argentina, che gira il mondo proponendosi come Helper. Ossia prestando un servizio di più o meno ore per vitto ed alloggio. Che nel suo caso, si traduce nell’imparare tante cose nuove godendosi i posti e le persone ( in quel caso un’isoletta paradisiaca). Io, ad esempio, prima d’ incontrarla, non ero a conoscenza di questo modo di viaggiare, economico e stimolante. Viaggiando in autonomia, hai la possibilità di confrontarti con tanti appassionati del “nomadismo” che sviluppano e ricercano in prima persona, diversi modi di viaggiare. Parlandoci, capisci che non è tanto legato al soldo, quanto alla volontà e necessità di farlo. Certo, se hai la pretesa di andare tutte le sere nel miglior ristorante … però se hai un pochino di energia e se è quello che vuoi è vivere un viaggio, anche la fatica non ti pesa. E’ un valore aggiunto.
Tornando nostro, dalla Malesia ci spostiamo in Borneo. Percorrendo con piccole imbarcazioni il Rio Batang, abbiamo visto come lì l’uomo ha devastato le foreste primordiali, per ottenere l’olio di palma. É una roba impressionante che mi ha amareggiato parecchio.
Dal Borneo siamo andati in Vietnam. Quando mi hai chiesto il viaggio più brutto che ho fatto, ho pensato istintivamente e forse anche in modo un po’ arrogante al Vietnam. Il Vietnam in realtà è favoloso, di una bellezza straziante. Lì, magari per una casualità, le persone che ho incontrato, legate in qualche modo al turismo, erano molto brusche ed indisponenti in tutto, forse troppo influenzate dal mito del dollaro.
Dal Vietnam siamo entrati via terra in Cina. La Cina, che un po’ snobbavo, mi ha incantato. Siamo entrati a sud dallo Yunnan, dove abbiamo ammirato infinite ed antichissime coltivazioni a terrazzamento, con il cielo che si specchia e si scompone dentro linee sinuose. Sono di una bellezza incredibile, specialmente quando sono allagate. Giustamente molto fotografate. Penso che sia l’unico posto dove l’uomo è riuscito ad aggiungere bellezza alla natura. Cosa che ritenevo impossibile. Dallo Yunnan siamo andati in Sichuan, che una volta faceva parte del Tibet storico. Ora, per Tibet, si intende un’area geografica stabilita recentemente dai Cinesi. Una volta il Tibet era molto più ampio, ed i sui confini si espandevano fino a dove c’era una comunione di usanze, di cultura, di tradizioni, di lingua e tratti somatici. Poi i Cinesi, hanno creato questi nuovi e limitati confini. Ma in realtà quella continuità esiste tutt’ora, ed è ovunque in Sichuan. Il Sichuan è, per me, parte del Tibet. Noi ci siamo trovati catapultati dentro. Ma la cosa assurda è che se vuoi vedere il Tibet, quello di Lhasa, ti serve per forza, se non sei Cinese, un viaggio organizzato con una guida ed un programma di visite che deve essere approvato dalla Repubblica Democratica Popolare Cinese. Quindi, in sostanza, ti è concesso vedere solo quello che il governo vuole mostrarti, con tutte le ovvie limitazioni del caso. Invece in Sichuan ti muovi come vuoi, in tutta autonomia. Per tre volte abbiamo toccato i 5000 mt di altitudine, tra gli insediamenti umani stabili più alti al mondo. Una cosa interessante ad esempio, è questo rituale al quale abbiamo assistito. Così raro che non lo fanno quasi più neanche in Tibet (e comunque vietato agli stranieri). Abbiamo assistito ai Funerali del Cielo. Praticamente, per via delle elevate altitudini, non crescono le piante. La terra è dura. Spesso ghiacciata. Quindi i cadaveri non vengono seppelliti, né bruciati. In una specie di vallata viene portata la salma avvolta in un telo bianco. Arriva il monaco che legge dei passi tratti dal libro tibetano dei morti. Il cadavere viene quindi spogliato. C’è l’addetto alla funzione che prende un coltellaccio da macellaio e comincia ad aprire e smembrare il corpo sul prato. Nel momento in cui aprono il telo vedi, dalla collina circostante, arrivare una cinquantina di avvoltoi enormi (considerati animali sacri). La cosa molto suggestiva è che vedi le loro ombre girare velocemente sul terreno, come degli spiriti. A questo punto arrivano queste bestie enormi, saranno alte come me, sono enormi. Cominciano a ruggire … non fanno cip cip, fanno lo stesso rumore di un leone. Si abbattono sulla salma e cominciano a spolparla contendendosi le parti. In cinque minuti scarsi restano solamente le ossa, bianche. A questo punto torna l’officiante, prende le ossa, le pesta e ciò che ne resta viene bruciato e custodito in un’urna.
Dopo queste esperienze tibetane bellissime siamo andati in Guangzhou, riprendendo quindi la via della seta. Abbiamo passato il deserto del Taklamakan ammirando le cime dell’ Hindu kush per raggiungere l’area dello Xinjiang, con la città forse più famosa della via della seta … Kashgar. Un posto favoloso e sofferto che rivendica la sua autonomia , pagandone le conseguenze in termini di repressione violenta e occupazione.
Dalle atmosfere d’altri tempi dello Xinjiang siamo entrati in Kirghizistan, che è stato uno dei posti, per me, più sorprendenti di questo viaggio. É esattamente come io immaginavo lo scenario in cui vivevano i Tartari, tipo la Mongolia. E’ semplicemente favoloso. Verde da tutte le parti, intere vallate di fiori, cavalli allo stato brado che galoppano per infinite praterie. Fenomenale. Abbiamo fatto in questo paradiso naturale un trekking a cavallo, accompagnati solo da una guida che avrà avuto 11 anni. Doveva portarci a questo lago a 3000 metri. Noi mai andati a cavallo. Ne son successe di tutti i colori. Questo ragazzino preso bene dalla nostra vena avventurosa incitava i cavalli ad andare al galoppo… Che sensazione di forza e libertà! Poi abbiamo beccato invece una grandinata in quota, a cavallo, ed è stato meno bello.
Dal Kirghizistan abbiamo valicato il confine, entrando in Tagikistan. Anche questo rivelatosi avventurosamente magnifico. Dopo aver percorso dalla Cina al Pakistan la Karakorum highway, che è la strada internazionale più alta del mondo, qui in Tagikistan ci siamo prefissi di fare la Pamir Highway, che è la seconda strada internazionale più alta del mondo. Anche qui avrei davvero moltissime storie e aneddoti da raccontare, come l’impresa che abbiamo affrontato a bordo di una piccola e inopportuna Lada, per attraversare la Wakhan Valley percorrendo il confine con l’Afghanistan. Una delle zone assolutamente più impervie a livello di trasporti che abbia mai visto.
Dunque i tuoi viaggi sono sempre verso est. Esiste una ragione che ti spinge in quella direzione e non, ad esempio in quella opposta?
Diciamo che sono sempre stato affascinato dalle atmosfere misteriose, esotiche ed antiche legate alla via della seta. Dai racconti di Marco Polo di carovane e piccoli villaggi. Una persona curiosa come me, non si accontenta solo di parole o immagini, per altro mutevoli velocemente. Necessita d’abbracciarle con tutti i sensi. I viaggi cominciano quando si muove qualcosa nella testa, non quando si muove il corpo o decolla l’aereo..
Quando inizi a viaggiare in un posto ti sembra tutto totalmente differente che ti sfugge la comprensione della maggior parte delle cose. Poi, allargando sempre più il tuo raggio d’azione, ti rendi conto che ci sono moltissime connessioni tra popoli e posti, magari anche molto distanti tra loro. Quindi cominci a comporre un puzzle e capire per similitudine più cose di una cultura, rimanendone affascinato. Le persone in Asia si sono sempre spostate molto, per necessità ed indole. Se pensi ad esempio alle migrazioni o ai popoli nomadi che tuttora esistono. In questo mi sento affine. La storia dell’uomo si è sviluppata principalmente in Eurasia. Se tu parli ad esempio del Sudamerica, questo è infinitamente più recente.
Quindi forse sono attratto da questa zona del mondo perché è qui che è iniziato l’ipotetico tutto. L’area fra il Tigri e l’Eufrate. Mi affascina da morire. Non sono appassionato di archeologia. Sono appassionato di persone.
Qual è la relazione che si instaura fra i tuoi lavori e i viaggi, ovvero in che modo i primi influenzano i secondi e viceversa?
Sono strettamente legati. Dipingere, come anche scrivere, mi aiuta ad innescare quel processo d’immaginazione che mi fa desiderare con tutto il cuore il vivere in prima persona una determinata avventura. Crea in me una crescente curiosità, un fermento di domande a cui voglio provare a dar risposta. É per me molto importante credere di poter affrontare un viaggio, nonostante i normali dubbi. Conscio del fatto che tante paure ed ansie non affrontate possono creare limiti o scuse, cerco di dar loro una forma, trasportandole onestamente nelle opere. Se guardi negli occhi una tua paura questa fa già meno paura …. Mentre dipingo cerco di fare esattamente quello che faccio in viaggio, ossia conoscermi meglio.
La preparazione per affrontare una nuova esperienza di viaggio è per me importante. La mia può apparire ad alcuni quasi maniacale, per via dei tanti quadri che realizzo di mappe e zaini, con schemi di materiali e posti. In realtà credo che la flessibilità tanto utile ai viaggiatori la si crei con una maggior consapevolezza di ciò che si ha, di ciò che ti circonda e delle possibilità che offre un posto.
Spesso, le risposte ai quesiti iniziali appaiono dopo, mentre mi abbandono alle suggestioni di un colore, nelle trame di un dipinto o osservando in silenzio un paesaggio. Esiste sempre un solido ponte tra ciò che desidero e ciò che vivo, che si manifesta in me, soprattutto tramite le infinite possibilità che l’arte offre.
Spesso non approfondire significa involontariamente giudicare. Tempo fa feci un lavoro artistico che si prefiggeva di unire due punti di vista purtroppo abbastanza diffusi, superficiali, stereotipati e diametralmente opposti. Questo alle soglie del mio primo viaggio in Iran… Avevo fatto una serie di opere sovrapponendo fotografie di moda ed interventi pittorici col color nero . Volevo rappresentare contemporaneamente due idee sbagliate, che arrivano a creare intolleranza verso un paese. Come purtroppo noi occidentali percepiamo la figura della donna Iraniana. Sottomessa, con su un “sacchetto di plastica” nero addosso, che non può far nulla, completamente senza diritti, e per opposizione invece, come loro, gli iraniani, vedono le nostre donne. Quindi un po’ troppo liberali, per usare un eufemismo … Da questa unione di giudizi meschini è emersa la parte forse più espressiva delle persone. Non la parola, non il gesto, ma lo sguardo… Il lavoro si chiama appunto Intimissimi Sguardi. Son partito con questi preconcetti e son tornato carico di umanità, fiducia e astio verso pregiudizi e disinformazione. Per esempio chi avrebbe detto che in Iran c’è la più alta concentrazione al mondo di donne che si rifanno il naso per estetica. Nessuna Iraniana che abbia visto io, deve trasportare tronchi di albero sulla testa a mo di animale, come per esempio, ho visto fare più volte nella tanto decantata Tailandia, terra dei sorrisi…
Che tipo di viaggiatore sei?
Molto curioso, energico e consapevole di avere tante lacune. Però muovo il culo per cercare di colmarle. Che non vuol dire solamente fare qualcosa in termini pratici. A volte sta anche nella capacità di riconoscere le qualità delle persone che viaggiano con te. Attitudini che loro hanno e tu non hai. Ti faccio un esempio. Io sono un timido di base, soprattutto quando mi rapporto con le persone per la prima volta. Simona, la mia compagna, ha una capacità incredibile di entrare nei cuori delle persone. A volte lei scatta una fotografia ad uno sconosciuto e torna a casa con una cena, un invito, un regalo di gratitudine. É una capacità che lei ha ed io no. Essere differenti e sfruttare in un certo senso le nostre diversità è la più grande ricchezza di questo mondo. Io adoro le diversità, sono da preservare. A me ciò che spaventa è l’appiattimento, l’omologazione. A noi viaggiatori, ad esempio, in questo mondo global, ciò che salva sono i profumi. Gli odori autentici, per catturarli, devi darti una mossa e andare a sentirli di persona. Ad esempio durante il cammino di Santiago ho sentito un odore di pino che mi ha immediatamente riportato al periodo dell’asilo. Che magia!
Tra l’altro, penso che la mia voglia di sperimentare sia iniziata proprio quando ero all’asilo. Un episodio particolare mi è rimasto impresso. Ero nel refettorio e c’era bimbo William che, mentre io mi lamentavo, perché non volevo mangiare i nervetti, questo ha mangiato il midollo dentro l’osso. Allora mi ha aperto un mondo fatto di differenze e scoperte. Oggi penso d’aver raggiunto quasi la “perfezione culinaria”. Una delle cose che mi divertono di più in assoluto quando sono in giro è provare qualsiasi cosa vagamente commestibile che per cultura e tradizione viene consumata in quel posto. Ho mangiato tarantole, serpenti, cavallette, larve, blatte, tutti gli insetti di sto mondo, ratti del bambù, ho mangiato di tutto. Se i locali se ne cibano, allora lo mangio. Amo spassionatamente andare alla ricerca di quelli che io ribattezzo “Caracas” ovvero piccoli locali che sfidando il tempo, arrabattandosi sgarrupati, per saziare e contenere la gente, che rappresenta la memoria storica di un posto. Vai la prima volta e sei un forestiero, se torni sei un fratello, un figlio, un amico.…mmm… tornando al cibo, l’unica cosa che devo sforzarmi a mangiare, è il ghiacciolo azzurro, che fortunatamente non figura in molti menu del mondo…
Che consigli ti senti di dare a chi dovesse decidere di intraprendere un viaggio backpack/lowbudget?
Innanzitutto uno che viaggia, indipendentemente dal suo budget, deve riuscire a ragionare ed agire il più possibile come farebbe un locale. Non è semplice, se per una modesta somma potresti evitarti giri e sbattimenti. Quindi anche se per te un Euro non è niente in alcuni posti è una cena. Questo tipo di ragionamento puoi applicarlo a qualsiasi cosa. Ciò vuol dire immergersi nella cultura e nelle usanze, rispettando oltretutto chi si guadagna da vivere onestamente.
Il più grande consiglio è quello di informarsi bene. Io cerco di farlo il più possibile, preparando il viaggio al meglio. Fatto questo, le cose vadano come vadano. Quando viaggi solo due cose devi portarti. La flessibilità dei piani e il tuo miglior sorriso. Basta. Con queste due cose vai ovunque. Poi una volta che ti sei preparato e hai fatto del tuo meglio non puoi rimproverarti niente. C’è chi invece dirà che preferisce non studiare niente e lasciarsi stupire dal mondo: va bene è comprensibile. Ma io che studio come una foca ammaestrata allora perché mi stupisco ogni mezzo passo che faccio? Gli occhi devi abituarli. Da A a B (indicando il tavolo in legno ndr) se tu sai guardare c’è il mondo. Ci sono tutte le sfumature che puoi immaginare. Certo che se non sai guardare da A a B c’è solamente un pezzo di legno. Devi essere capace ad osservare, che significa riflettere e domandare. Provare, esporti e anche sbagliare.
E poi un po’ bisogna buttarsi. Nell’ultimo viaggio in India ho partecipato all’Holi Fest, che è la festa dei colori, della liberazione. Lì ti butti tra la gente e ti buttano addosso i colori. Quindi buttarsi e ricevere colore. Che per un pittore….
Qual è la tua visione di fotografia e che ruolo occupa la fotografia nei tuoi viaggi?
Nei miei viaggi, la presenza della fotografia è quasi fondamentale, anche se non necessariamente adoperata da me. Mi piace e mi affascina, quel potere che ha di farmi entrare nelle vite delle persone. Di mettere le basi per sorrisi, incontri e storie che “rubano l’anima” di chi è ritratto quanto di chi ritrae. Faccio sempre l’esempio di Simona, il modo in cui lei riesce a ottenere una fotografia. Ovvero conoscendo prima le persone, facendosi raccontare la loro storia, entrando nelle loro case raccogliendo sorrisi ed abbracci. Per me avere una fotografia negli occhi è sinonimo d’avere una storia da ascoltare, sinonimo di avere un piatto nuovo da assaggiare. Il che va al di là dell’aspetto di documentazione e di memoria. Se non ci fosse la fotografia magari alcuni posti non li ricorderesti. Però ho imparato anche a lasciare andare un po’ le immagini, ed apprezzare il semplice momento. Del non dover esserne schiavo. Un fotografo ad esempio, quando non c’è la luce giusta non fotografa. Son diventato più bravo a vedere quando la luce non è adatta affinando però il modo d’apprezzarla ugualmente, acuendo altri sensi e meccanismi di ragionamento.
Se il luogo e la situazione li hai interiorizzati, hai infiniti altri modi per condividerli, per trasmetterli. La fotografia, se mancata o sfumata, lascia un senso di perdita irreale dell’attimo. Più legata al futuro che al presente. É una distorsione da cui cerco di liberarmi.
Quando ad esempio ho fatto il trekking da solo in Lapponia, non mi è arrivato lo zaino, quindi me la sono fatta senza macchina fotografica (oltre a tutto il resto del contenuto). Ho “fotografato” quel viaggio in ogni poro della mia pelle, radicandolo in me sotto forma di determinazione e coraggio. Ne attingo ancora oggi.
Come decidi la tua prossima destinazione?
Lasciandomi affascinare. Ci sono nomi o situazioni che per qualche ragione mi girano attorno con maggior prepotenza. Magari è perché li ho già in testa, quindi sono maggiormente predisposto a captarli. Ora ad esempio sono i nomi Pakistan, Kashmir e cicloturismo. Non necessariamente con un legame fra loro.
In realtà ci sarebbero infiniti i posti. E fra i tanti includo anche quelli nella provincia bresciana dove vivo. Il fatto che mi sia concentrato maggiormente in luoghi all’estero più faticosi da raggiungere è dato dal semplice fatto che ora ho le energie e la tempra per affrontarli.
Ad esempio, sai perché il luogo del cuore è praticamente dietro casa? Innanzitutto perché è un luogo molto bello che nulla ha da invidiare a nessuno, e mi sento molto fortunato ad averlo a portata di mano. Quasi fosse un amico. La piana del Monte Guglielmo è dove vado prima di iniziare un viaggio e successivamente quando sono tornato. É un po’ come fosse la chiusura del cerchio. Mi trovo lì sopra e faccio esattamente quello che facevo prima di partire, cioè osservo l’orizzonte. Solamente che dopo un viaggio, quell’orizzonte mutevole mi abbraccia e mi fa sorridere. Quel mio sorriso alla natura ed al cielo è la vera essenza dei miei viaggi.
Sai, nonostante sia stato fortunato, avendo visto delle albe commoventi in tutto il mondo, sai quale mi ha sorpreso per bellezza… Un paradiso sceso in terra? Sai dov’ero? Non in Australia, né in Tibet, né tantomeno in India. Ero in tangenziale alla periferia di Brescia. É così. Le cose stanno negli occhi di chi le guarda. Devono però essere tutt’uno con il cuore.
Tutte le immagini di viaggio sono di proprietà di Stefano Crespi
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