Passaggio in India

Il ruggito del leone

SINGHAM di Rohit Shetty & Team (2011)

Dalla padella alla brace. Affrontare il cinema indiano credo sia altrettanto complicato e dispersivo che partire da soli per l’India senza sapere bene dove andare. O voler guardare un film senza sapere quale. La mole di pellicole prodotte in India è infinita e io mi sento già disorientato. Tuttavia c’è sempre qualcuno prima di te che ha già vissuto un’esperienza simile aprendo la strada. Mi sono fidato di amicizie dubbie e il risultato è stata la visione di Singham. Cos’è? Sinceramente non l’ho ancora capito. È un poliziesco, un film d’azione, una commedia, un musical. È tutto. Ma, soprattutto, Singham è lui:

Singham

Il riparatore di torti, il mallevadore dei deboli, il giustiziere invincibile. Non si può descrivere a parole, lo si deve vedere. Pensate a Bud Spencer, accorpateci un wrestler, insaporite con un mossa da fatality alla Mortal Kombat – che è poi uno schiaffone con ruggito annesso – e il gioco è fatto. Singham è il leone e se gliele fai girare son botte. Il protagonista della pellicola di Rohit Shetty è un poliziotto integerrimo che, convinto delle proprie ragioni, mena a destra e a manca. I corrotti, i ladri, i truffatori vengono sbalzati da terra letteralmente ogni volta che li colpisce.  Però attenzione, Bud Spencer può anche essere un esempio calzante nell’inquadrare il personaggio interpretato da Ajay Devgn, ma è necessario caricare tutto all’ennesima potenza. Ogni aspetto in questa pellicola è portato all’eccesso: ralenti, bianco e nero nei momenti più intensi, inquadrature sbollate, mamma mia quante ce ne sono! E poi le scene d’azione, coreografate con quella decisa vocazione tamarra da farti commuovere. E infine gli intermezzi musical che non sono relegati alla fine della pellicola, come Slumdog Millionaire di Danny Boyle voleva farci credere, ma sono disseminati lungo tutto il film. Che ingenuità occidentale!

La storia comincia con un caso di ingiustizia. Un poliziotto viene accusato di corruzione e per la vergogna decide di suicidarsi. La vedova è inconsolabile, il vero responsabile della morte del marito è il super criminale Jainkant. È stato lui a muovere la compagna denigratoria contro il poliziotto, dopo che si era rifiutato di sottostare alla sue richieste. In un universo strabordante come quello di Singham, anche il cattivo non poteva essere che mostruoso e infatti uccide ragazzini innocenti a mani nude. Il suo regno del terrore ha però i giorni contati perché sulla sua strada, in maniera del tutto accidentale, trova proprio Singham. La lotta tra i due è serrata e senza esclusione di colpi, tra botte da orbi e fibbiate generosamente elargite dal Nostro. E non importa se tutto il mondo rema contro di te, Singham è giustizia e vendetta assieme e quando il sistema fallisce, ci pensa lui a mettere le cose a posto. Anche se non è proprio legale. Lo ammetto, sono ancora basito dalla visione di questo film: non so bene cosa ho visto, ma mi sono divertito un mondo, anche perché Singham sembra, per molti aspetti, un trailer lungo di Maccio Capatonda. Forse fin troppo lungo visto che il film dura due ore eventi. Probabilmente non ho la sensibilità per capire a fondo l’operazione, ma decisamente ti catapulta in una concezione del tutto diversa del fare cinema. È come gustare un piatto particolarmente ricco che assomma tutta la cucina indiana. Si rischia l’indigestione.