Fotografare La Death Valley

Fotografare La Death Valley www.ishoottravels.com your ticket to travel photography. Blog di fotografia di viaggi. © Galli / Trevisan
Fotografare La Death Valley

Nell’autobiografia Death Valley in ’49 scritta dal pioniere americano William Lewis Manly vengono narrate le atrocità che lo stesso (assieme ad altri cercatori d’oro) dovettero affrontare per attraversare questa feroce area geografica. Fra caldo infernale, a stento e in assenza quasi totale di acqua e cibo, il manipolo di disperati riuscì ad attraversarla da est verso ovest. Questa tremenda avventura, durata circa un mese, fu ciò che diede inizio alla leggenda del suo nome. La Death Valley, o Valle della Morte.

Vista la premessa non c’è infatti da stupirsi se è proprio questo il luogo dove è stata registrata la più alta temperatura sulla Terra. Il 10 Luglio 1913 la colonnina di mercurio è infatti salita fino all’invivibile temperatura di 56,7°.

Verrebbe da considerare pazzo chi la visita, giusto? Ricordo ancora l’espressione di mio padre quando gli ho parlato di questo viaggio. Tradotto dal dialetto bresciano suonava tipo “Ma voi siete matti ad andare lì, non c’è niente!”. In effetti non c’è da dargli torto. Visitare la Death Valley è un po’ da matti. Io e Sara l’abbiamo vista a Ottobre ma vi assicuro che gli oltre 40° non facevano di certo pensare alle fresche giornate autunnali.

Ciononostante la Death Valley, benché la premessa faccia pensare al contrario, è stato uno dei luoghi più magici che abbia mai visto. Proprio lungo le strade che la attraversano ho assaporato per la prima volta il suono del silenzio. Quello vero, quello assoluto. Ed è stato sconvolgente. Anche se è una sfida ardua, posso garantire che la Death Valley è un vero e proprio paradiso per i fotografi.

QUANDO VISITARLA

I più esperti escursionisti sconsigliano vivamente di visitarla nei mesi compresi fra Luglio e Settembre, in quanto temperature estreme potrebbero diventare un pericolo per i visitatori.

Come premesso noi l’abbiamo visitata verso metà Ottobre. Il clima era torrido, con un caldo veramente cocente ed un’aria secca. I mesi ideali sono quelli a cavallo fra autunno e inverno e, soprattutto a inizio primavera (Marzo), in quanto vi è un’esplosione di vita, soprattutto a livello vegetale. Ovviamente i mesi più appetibili sono anche quelli più affollati. Tuttavia il Parco è così grande che è molto difficile pestarsi i piedi.

COME VISITARLA

Essendo parte del National Park System ovviamente la Death Valley richiede l’acquisto di un biglietto, o di un pass stagionale, acquistabili alle stazioni di ingresso del parco. Per informazioni più dettagliate consiglio di visitare il sito dedicato.

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Per raggiungere la Death Valley il mezzo più consigliato  è l’auto. In America i noleggi sono veramente a buon mercato, così come lo è la benzina. Noi abbiamo optato per un Suv molto grande, che devo dire ci infondeva una forte dose di sicurezza. Da non sottovalutare il fattore carburante. All’interno del parco esistono solo 1 o 2 stazioni di benzina, per cui è bene prevenire il rischio di trovarsi con il serbatoio in riserva, specialmente se ci si trova, come direbbero gli americani “in the fucking middle of nowhere”. Sempre legato al fattore sicurezza è assolutamente proibito uscire dalle strade segnate e fare offroad. Oltre a essere un pericolo per gli idioti che intendono farlo è un serio pericolo per il fragile ecosistema del parco.

Soggiornare nel parco è una soluzione raccomandata, in quanto è molto grande ed una visita in giornata è il minimo sindacale. Anche se i prezzi sono alti, al centro geografico, più precisamente a Furnace Creek, vi è un mini villaggio con Lodge, market e pompa di benzina. Un’altra splendida soluzione per soggiornare nel parco è quella di avere un Rv (uno di quei mega camper americani) e scegliere di dormine sotto le stelle, fra gli ululati dei coyote e il suono del vento.

Se invece siete pazzi, o quantomeno pazzi per lo sport, a quanto pare, la bicicletta è uno dei mezzi preferiti da molti per attraversarla… naturalmente di notte. Io e Sara abbiamo infatti visto un sacco di carovane di ciclisti, con camper al seguito, che sputavano letteralmente sangue, avanzando con grande sforzo verso il loro traguardo.

SICUREZZA INNANZITUTTO

Lo avete capito, no? La Death Valley può essere pericolosa. L’ho ripetuto così tante volte che mi sembra di essere paranoico. Ma, anche se ne abbiamo ampiamente parlato nell’articolo Fotografia di Paesaggio: comanda lei, in questo specifico caso la prudenza non è mai troppa. In particolare bisogna prestare attenzione a due particolari fattori: caldo e fauna.

Il caldo insopportabile porta con sé conseguenze che per l’organismo possono essere anche gravi: le più serie sono disidratazione e colpi di calore. L’imperativo è quello di portare con se acqua, tanta, tanta acqua, magari accompagnata da frutta fresca. In America il modo migliore è acquistare un contenitore termico (in pratica sono delle scatole di polistirolo da pochi $) e riempirlo con un sacco di ghiaccio (che in America si trova ovunque: dai corridoi dei motel alle stazioni di benzina). Et voilà, ecco fatto il nostro mini frigo portatile.

Il secondo pericolo, come detto è la fauna. Benché vi siano predatori pericolosi quali il famigerato Mountain Lion, in realtà quelli di cui ci dobbiamo preoccupare maggiormente sono quelli più piccoli e che non vediamo. Fra tutti serpenti a sonagli, ragni e scorpioni. Per cui, attenzione a dove si mettono i piedi.

COSA VEDERE

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IL SAPORE DEL VECCHIO WEST

Innanzitutto non fermatevi solamente nella Death Valley. Il Parco è meraviglioso ma per raggiungerlo è necessario passare da punti di discreto interesse.

Noi provenivamo da Las Vegas e per raggiungerla abbiamo percorso la statale 160 che attraversa un deserto molto affascinante, in stile Mojave e, una volta giunti nel paesino di Parhump, abbiamo voltato a sinistra sulla 372. Qui, in questa strada che è letteralmente in mezzo al nulla, non è difficile assaporare il sapore dei vecchi pionieri, quelli che, disperati, viaggiavano incessantemente verso Ovest alla ricerca di fortuna. Strade polverose e deserte, paesaggi brulli e affascinanti ci portano la mente a molti classici del cinema western.

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Inoltre, sempre su questa strada abbiamo incrociato un piccolo paesino chiamato Shoshone, come la popolazione di nativi che originariamente abitava queste aree. É un borgo di poche case, una stazione di servizio, l’immancabile motel e poco più. Anche se, detto così sembra veramente di poco conto, posso assicurare che vi ammalierà, con il suo fascino decadente.

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Per finire, lungo la strada, tenete sempre d’occhio a ciò che potrete scorgere a destra o sinistra. Noi ad esempio siamo stati stregati da un vecchio cimitero abbandonato proprio lungo il ciglio della strada, ma non sarà difficile trovare altri punti d’interesse, quali vecchie cisterne, edifici abbandonati e paesaggi incredibili.

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Una volta giunti alla Death Valley Junction, troveremo proprio uno di questi edifici abbandonati. È qui che dovremo prestare attenzione e seguire le indicazioni per entrare nel parco.

I punti di interesse della Death Valley sono molteplici. Su tutti quelli assolutamente da non perdere sono Dante’s View, Bad Water e Zabrieskie Point.

ZABRIESKIE POINT

Magistralmente filmato in una scena dell’omonimo film di Michelangelo Antonioni e reso famoso da alcune fotografie di Ansel Adams, questo è uno dei punti più belli della Death Valley. Lo si raggiunge facilmente in auto e, dopo una breve ma veramente intensa salita (a piedi), ci si apre davanti agli occhi questo scenario, fatto di collinette rocciose, brulle e dalle forme sensuali.

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Dal punto di vista fotografico il bianco e nero è sicuramente la morte sua. I colori infatti non sono così sorprendenti ma lo sono i bellissimi giochi di chiaro scuro che vanno a delineare i volumi di questo scenario. Il nostro approccio è stato quello di cercare l’astrazione, andando un po’ nella direzione del grande fotografo americano. Proprio per questo abbiamo lavorato con un teleobiettivo 70-200, cercando un’immagine più compressa e piatta, in modo da porre in risalto le texture piuttosto che la profondità. In post produzione un forte contrasto aiuterà ad esaltarne l’aspetto tattile.

DANTE’S VIEW

Ovvero: ecco a voi Marte o, come suggerisce il nome, l’Inferno. Dante’s View punto di osservazione è situato sulla cima della montagna che si trova a Est di Badwater. Considerando che quest’ultima è sotto il livello del mare e il primo è a oltre 1600 m, ciò che si presenta è una vista letteralmente da vertigini, con il grande bacino di Badwater che si estende sotto i nostri occhi.

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L’aspetto da quassù è veramente alieno. Quando la Nasa ha pubblicato, poco tempo fa, le fotografie della sonda che perlustrava il territorio marziano la mia sensazione è stata: ma io li ci sono già stato.

Non sarà semplice cogliere l’essenza di questo posto. Premetto che, probabilmente il miglior momento della giornata è al mattino, in quanto il sole si trova alle nostre spalle. Noi ci siamo stati nel pomeriggio. A causa di questo (e delle alte temperature) l’atmosfera non era certo delle più terse. Anche qui l’approccio, come per Zabrieski Point è stato quello di andare in una direzione bidimensionale e astratta. Essendo infatti praticamente impossibile (quantomeno io non ci sono riuscito) rendere la maestosa profondità del dirupo che si dipana sotto i nostri occhi, la nostra strategia è stata quella opposta. Montando una lente teleobiettivo da 200 mm abbiamo creato un’immagine da forte sapore di un quadro bidimensionale astratto (alla Pollock), dove il bacino va a creare una splendida forma organica che ricorda vagamente una radice rovesciata.

Anche qua in post produzione abbiamo accentuato il contrasto e convertito l’immagine in bianco e nero.

BADWATER BASIN

Se da Dante’s View avevamo una bella vista su Marte, una volta raggiunto Badwater saremo ci saremo letteralmente catapultati.

Giusto per la cronaca, una volta raggiunti, ci troviamo nell’area più bassa di tutto il Nord America, con la sua altitudine di -282 m sotto il livello del mare. Il bacino di Badwater è una sorta di enorme bacino idrico completamente (o quasi) secco. Il fascino di questo posto è determinato proprio dalla particolare struttura del terreno, con ampie zolle secche che vanno a disegnare un dedalo di crepe.

Altra cosa interessante è che, proprio e poiché siamo sotto il livello del mare le ombre saranno lunghe. Molto lunghe, creando bellissimi giochi di chiaro scuri, specialmente se ci avviciniamo alle ore del tramonto o dell’alba.

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In questo caso abbiamo deciso di sfruttare uno dei suoi punti sfavorevoli: la gente. Essendo infatti uno degli spot più visitati del parco non sarà semplice riuscire ad avere un’immagine desolata. Noi abbiamo scelto di includere la figura umana, in controluce, per aumentare la profondità dello spazio, enfatizzando ulteriormente quest’idea grazie all’uso di un grandangolo da 17 mm.

Vi sarebbero stati atri punti che avremmo voluto vedere, fra cui non posso non segnalare Artist Drive e le Sand Dunes. Purtroppo però le nostre tabelle di marcia, durante i roadtrip, sono sempre piuttosto rigide. Ma forse questo non è proprio un male. Magari ci darà l’input di tornarci un’altra volta, prima o poi.