Ciò che si nasconde – Turchia

Non l’auto, il cavallo!

MUSTANG di Deniz Gamze Ergüven (2016)

È tutto qui il fraintendimento. Facciamo così, partiamo dalla fine, senza cianciare troppo su trama, recitazione e compagnia. Scorrono i titoli di testa e ancora mi lambicco il cervello sul significato del titolo. Ma che c’entra l’auto? Ripenso rapidamente alle sequenze, ai momenti più importanti, magari mi è sfuggito qualcosa. In effetti un’auto che poteva ricordare una mustang si è vista nel finale, però… Non saprei, mi pare un po’ troppo tirato per i capelli. No, non può essere tanto complicato. Infatti tanto complicato non è, basta chiedere aiuto all’internet.  Mustang non è solo la famosa auto della Ford, ma anche una razza di cavalli tornata allo stato brado che evidentemente ha dato il nome alla vettura. Capito genio? Lo so, probabilmente ero l’unico a ignorare la cosa, ma non divaghiamo. La selvatichezza, l’indole indomabile di questa razza vive nei corpi e nelle menti delle protagoniste del film. Ragazze selvagge che sfoggiano bellissimi e lunghissimi capelli:  seriche criniere libere al vento. Libere come vorrebbero essere queste cinque orfane che, ahiloro, vivono in una sorta di cattività imposta dallo zio padrone.

Sin dalla prima scena si capisce a cosa andranno incontro. Concluso l’anno scolastico, le ragazze si attardano in riva al mare con un gruppo di coetanei. Non l’avessero mai fatto. Una volta tornati nella dimora gestita dalla nonna, scoppia uno scandalo. Il piccolo villaggio in cui vivono, immerso tra colline verdeggianti e rigogliose, sembra davvero un paradiso. Invece è solo una prigione dorata in cui lo zio assume il ruolo di guardiano di questa sorta di zoo safari. Non che non ci provino in tutti i modi a liberarsi delle catene. Mi riferisco alla scena in cui le ragazze fuggono di notte per assistere a una partita di calcio. La ribellione poteva finire molto male considerando che le telecamere, durante il match, le inquadrano. Fortunatamente le donne di casa, riconoscendole, manomettono l’impianto elettrico prima che lo zio e i suoi amici – radunatisi anche loro per vedere la partita – se ne accorgano. Questa forma di complicità femminile sorprende soprattutto perché, fino a qualche giorno prima, quelle stesse donne erano state chiamate dallo zio per addomesticare le ragazze e renderle adatte al matrimonio. È solo un fuoco di paglia perché sistematicamente le velleità delle sorelle vengono soffocate da continue gabbie: prima fisiche, le inferriate; poi sociali, i matrimoni combinati. La grazia con la quale la telecamera indugia sulla bellezza delle protagoniste e sul paesaggio da favola che le circonda contrasta amaramente con la realtà che subiscono. Sola la più piccola ha qualche chance di rompere le catene, di conservare la propria libertà e rifiutare i tentativi di addomesticamento. Del branco di mustang rimane giusto lei e la sorella di qualche anno più grande, la quale ha già il destino segnato: anche lei dovrà presto convolare a giuste nozze.

Appunti di viaggio:

  1. —> Siamo ormai a un punto di svolta del film quando la piccolina si arrampica fino a raggiungere l’abbaino che porta sul tetto. Lì il suo sguardo si apre sul paesaggio lussureggiante punteggiato da tante case che potrebbero raccontare altrettante storie simile alla loro.