Argentina per davvero! Terzo Atto

Argentina per davvero! parte tre

Salta. Escursioni, deserti di solitudine e un po’ di nazismo

Due ragioni mi hanno spinto a tentare l’avventura sui Colectivos, i famosi bus turistici che coprono distanze ragguardevoli in tutta l’Argentina. Primo: volevo risparmiare, secondo: mi intrigava l’idea di godermi le immense distese territoriali del paese durante il viaggio.

A posteriori probabilmente non ripeterei l’esperienza per – momento di suspense – due motivi! Primo: si risparmia, è vero, ma stabilendo un piano d’azione con discreto anticipo puoi comodamente comprare biglietti aerei per le tratte interne. Se hai intenzione di rimanere per un certo lasso di tempo è conveniente acquistare biglietti cumulativi presso la Argentina Airlines. Questo ti consente di ottimizzare il tempo e, soprattutto, non disperderlo. In più – e veniamo alla seconda ragione – per quanto possano essere comodi, i Colectivos sono piuttosto faticosi. I sedili di un autobus, anche pagando qualche peso in più per una postazione che si trasforma in letto (cama), sono pur sempre sedili di un autobus e vi assicuro che 15 ore di viaggio alla lunga si fanno sentire. Cadi in una sorta di sonno malato, un sopore da post pranzo natalizio che fatichi poi a scrollarti di dosso. Per quanto meravigliosa e eccitante sia la vista dai finestrini poi, meglio sarebbe vedersela senza uno schermo di vetro davanti. Il consiglio che mi sento di dare, sulla scorta delle grandi scoperte del Novecento, è ridurre il campo d’azione in relazione al tempo disponibile.

Arrivo finalmente a Salta – città della regione nordest – che sarà punto di partenza di alcune escursioni nei territori andini. Prendo un taxi per raggiungere prima possibile l’alloggio, penso che la mia spina dorsale abbia la forma del sedile oramai. Parentesi della giornata: i taxi non sono particolarmente costosi, li ho usati spesso anche per ovviare a un grande ostacolo che si frapponeva sul mio cammino: la pigrizia. Ecco, pigrizia e avarizia sono virtù poco conciliabili tra loro, io fortunatamente le ho entrambe e grazie al cielo il taxi in Argentina, in fatto di trasporti, riesce a soddisfare entrambe.

Hugo e Federico sono una coppia che vive a pochi passi dal centro di Salta e offrono un servizio di bed and breakfast davvero eccellente. Forse non è il caso di fare pubblicità a qualcuno, ma non è richiesta e poi scrivo quello che voglio. Non potrei parlarne male nemmeno volendo, mi hanno accolto con calore nella loro bella casa, mostrandosi sempre disponibili al di là dei loro doveri: mi hanno pure cercato il mezzo di trasporto per raggiungere la tappa successiva del mio viaggio! Hanno saputo indicarmi tutte le possibilità che offre la zona, non facendomi mai mancare una lauta colazione. Hugo e Federico parlano perfettamente inglese, anche perché lo insegnano, ma io ho preferito glissare sulla mia indiscussa padronanza della lingua della perfida Albione per lanciarmi in una zoppicante versione dello spagnolo-argentino.

Riesco a riposare un po’ prima di partire, ho giusto il tempo di visitare la città: Salta la linda. A dire il vero di lindo c’è ben poco, a parte le chiese e i monumenti coloniali del centro, imperdibili anche perché la città non è enorme, stanno lì. La dimensione europea di Buenos Aires lascia il posto a un mondo più antico. La popolazione del luogo, almeno per quella che ho visto io, appartiene all’originario ceppo indigeno. La carnagione scura e gli occhi a mandorla sono quelli degli indios.

Salta

Anche la discreta ricchezza della capitale argentina è sparita. Salta, già nelle vie prospicienti al centro, mostra una certa povertà: cani randagi, persone che vendono qualsiasi cosa agli angoli delle strade, edifici usurati o del tutto abbandonati. Ma la presenza massiccia di giovani, in particolar modo studenti che sfoggiano la divisa dell’istituto di appartenenza, equilibra questa fosca sensazione. Le scuole private, per chi se lo può permettere, vanno per la maggiore.

Ciò che può davvero offrire questa parte dell’Argentina sono i paesaggi immensi, i territori a perdita d’occhio, la varietà di flora e fauna che muta al salire dell’altitudine. Le possibilità di organizzare escursioni sono innumerevoli. Essendo solo e non troppo convinto dalle mie capacità di sopravvivenza ho optato per qualcosa di organizzato. Ma niente vieta maggiore libertà, magari con un mezzo a nolo.

Prenoto alcune escursioni che si inerpicano per le Ande. Parto il giorno seguente con una comitiva di diverse persone, di diversa età, di diversa provenienza, capitanati da un guida che ci accompagnerà per tutto il percorso. La civiltà e le sue ultime propaggini si disperdono abbastanza rapidamente. Non abbiamo troppo tempo per riposare dalla levataccia perché di fronte a noi si apre l’incredibile: 2000 m, 3000 m, 4000 m. Si continua a salire e gli spazi si allargano. L’erba si dirada, si macchia di rocce e spuntano sempre più frequentemente famiglie di cordones, i cactus che abitano i grandi altipiani andini. Sembra di stare in pianura, ma l’aria è già fine e le cime sono solo il cappello di un corpo più grande e titanico. Ci fermiamo per un istante a mirare i resti di una civiltà remota, più antica degli incas stessi. Così antica che non rimane nemmeno memoria del loro nome. Sopravvivono solo i perimetri di quella che doveva essere una città. La si chiama tastil prendendo in prestito il nome della pietra che, percossa, produce un particolare suono metallico, la stessa pietra utilizzata da questa civiltà perduta.

Rovine di Tastil

Quando riprendiamo il viaggio il sole è alto, passiamo per San Antonio de los Cobres, ammirando il Viaducto de la Polvorilla, uno delle poche strutture che testimonia la presenza umana.

Viaducto de la Polvorilla
Viaducto de la Polvorilla
Verso San Antonio de los Cobres
Un cimitero sulla via per San Antonio de los Cobres
Un altro cimitero sulla via per San Antonio de los Cobres

Lungo la strada non incontriamo solo villaggi abbandonati, ma tanti piccole roccaforti di coraggiosi esemplari umani e no.

San Antonio de los Cobres
San Antonio del los Cobres

Presto l’altipiano riprende la propria giurisdizione e la fauna che la abita si mostra senza timore: Guanaco e Vigogne – parenti dei lama – sono dappertutto.

Credo siano Guanaco, credo…

Vorrei tanto restare ancora un po’ e inoltrarmi nel mezzo del paesaggio, ma non è possibile. Quindi mi accontento di sbucare fuori dallo sportello del mezzo mentre si procede.

Attraverso gli altipiani andini

Magari la prossima volta metto a fuoco anche il paesaggio.

Infine, le Salinas Grandes. Distese di sale a perdita d’occhio. Quando calpesti il suolo hai la sensazione di camminare su un pavimento sterminato e bianchissimo. Non posso descrivere quello che si prova vedendole. Lascio questo compito alle foto che sono riuscito a scattare, pensando a cosa avrebbe potuto fare un fotografo professionista. La cosa più bella che abbia visto durante il viaggio. E ho visitato solo la millesima parte di questo paese!

Salinas Grandes
Salinas Grandes
Salinas Grandes

Capito?

La D200 si spegne un attimo prima di ripartire. In coro le voci di Sara e Corrado risuonano nelle mie orecchie: «Mi raccomando, la sera, quando torni, metti sempre in carica la batteria!» E chi se lo dimentica? Già. Questo viaggio si sta delineando come la compilation dei consigli disattesi.

Arriviamo alla conclusione dell’escursione. Siamo a Purmamarca, un piccolo sito diventato estremamente turistico, ma comunque utile se si tratta di partire verso altre mete come la Quebrada de Humauaca, Tilcara e altro. Purmamarca è ottima anche per ammirare la grande attrazione del luogo: El Cerro de los siete Colores. Una cima che riassume ciò che si è già ammirato durante il tragitto: la composizione rocciosa si presenta con colorazioni e sfumature diverse, come una tavolozza da pittore. Anzi come una torta tagliata nel mezzo dove puoi vedere gli strati che la compongono. Tanti livelli di un dolce cucinato a forno statico per 500.000.000 di anni. La mangi con gli occhi.

E da bere? Nelle mie divagazioni lontano dal gruppo mi imbatto in un altro Federico,

L’altro Federico

pensa il caso, che mi invita a una festa organizzata dalla gente del posto all’ interno di un magazzino. Hanno tutti la faccia impiastricciata di calce e, in mano, un bel bicchiere di Fernet e cola. Cos’è? In realtà già Andrea mi aveva avvisato su questa strana abitudine argentina, ma ci ritorneremo. Ahimé, non posso trattenermi, la comitiva sta per ripartire, ho giusto il tempo di assaggiare il cocktail che gentilmente mi offrono. La prima cosa che mi balena nel cervello dopo aver assaggiato è: chissà quando ne bevi a secchi cosa succede. Anche in questo caso, ci torneremo.

Si è fatto un po’ tardi quando rientro a Salta, ma non ho voglia di tornare subito a casa, perciò, seguendo le indicazioni dei miei anfitrioni, ceno in un ristorante dove si mangia e si spende bene. Apprezzo antipasti tipici e la carne, senza lasciare niente. Spazzolo tutto rapidamente, quando sei solo i pasti durano davvero poco. Devo ammettere che in questi due giorni di viaggio, a parte le sporadiche chiacchierate coi compagni di viaggio, non sono riuscito a socializzare molto. Non sono mai stato bravo a farlo e comincio ad avvertire un po’ di solitudine. Resto seduto al mio posto tracannando una bottiglia di Torrontes, il vino bianco tipico della zona, fissando i commensali. Speriamo che nessuno si sia accorto di me, immagino che sentirsi addosso lo sguardo allucinato di qualcuno non sia proprio il massimo. Alcol + stanchezza = combo imprevedibile. Un gruppo di tedeschi desta la mia scomposta attenzione. Sono piuttosto attempati e terribilmente esigenti, al limite dell’antipatia. La solitudine alimenta il pregiudizio e, catapultato in una trama alla Indiana  Jones – ancora lui – immagino siano dei reduci nazisti negletti in Argentina. Con grande spirito e coraggio scatto loro una foto e la mando a un sodale dei complotti. Ma lui distrugge subito le mie fantasticherie. A meno che non abbiano sintetizzato un elisir di lunga vita, è praticamente impossibile che qualche gerarca sia rimasto in vita. Era meglio la solitudine. Finisco il Torrontes e riprendo la via verso casa.

Il nemico

La seconda trasferta è molto più agile: tragitto concentrato e la guida di un simpatico lestofante dal girovita equatoriale. Strade più o meno asfaltate si alternano a tratti interamente sterrati, anche perché la stagione delle piogge in questa zona non permette di regolarizzare le vie di comunicazione. La vegetazione è rigogliosa, ma nel momento in cui l’altitudine cresce anche il paesaggio cambia.

Anche le offerte religiose cambiano con l’altitudine
Gente che aspetta l’autobus?
Indizi su ciò che ci aspetta

Non lontano da Cafayate incontriamo il Parque Nacional de los Cordones, un territorio protetto nel quale i veri guardiani sono i cactus che lo abitano. Attorno a noi le cime delle Ande ripropongono quella varietà cromatica che abbiamo visto dalla parti di San Antonio del los Cobres.

Parque Nacional de los Cordones
Fattucchiera a Cachi

Il percorso si conclude a Cachi, un paesello assonnato dove cani e mosche di ogni

genere e forma si aggirano famelici ai tavoli delle tavernacce che propongono un solido menù a base di carne. I volti dei commercianti sono simili a quelli di Federico di Purmamarca. Vendono qualsiasi cosa, dalle foglie di coca ai souvenir più disparati. In cambio di una foto, ho ricevuto un preparato di erbe contro l’emicrania. Questa volta non ho provato la miscela, l’ esperienza col Fernet mi ha reso scettico. Almeno per il soggiorno a Salta e dintorni.

In partenza per la prossima tappa