Argentina per davvero! Secondo Atto

Argentina per davvero, secondo atto

Mina, parte uno. Scarpe scomode e il dannato orientamento

Vi risparmio la preparazione del viaggio, una costellazione di ansie e nulla più. Dato che in Argentina non è richiesto alcun visto, basta ricordarsi di portare il proprio passaporto e magari stipulare un’assicurazione base per eventuali rischi. Niente di particolarmente costoso, circa cinquanta euro per un paio di settimane. Un ringraziamento particolare va nuovamente a Sara e Corrado che due giorni prima della partenza mi domandano:

ST & CG: «Allora tutto a posto? Passaporto, assicurazione?»

LV: «Assicurazione per cosa? Ahahah.»

Confido che non siate così sprovveduti.

Dopo la traversata continentale, durante la quale mi faccio prosciugare dai blockbuster disponibili – e recuperando liquidi grazie a gioiose bottigliette di vino rosso – atterro frastornato all’aeroporto Ministro Pistarini di Buenos Aires. Ad attendermi trovo Andrea, il disgraziato che si è fatto infinocchiare. Salpiamo presto su una specie di navetta fai-da-te  (normale prassi da quelle parti) che ci conduce entro il confine urbano della capitale. Buenos Aires si distende in un’area enorme davvero difficile da quantificare. Quello che potremmo considerare il centro storico prende il nome di Microcentro ed è la millesima parte di una megalopoli tentacolare. Dal finestrino mi perdo a contare enormi palazzoni invecchiati precocemente, ricorda Napoli da questo punto di vista, ma forse po’ tutte le periferie delle metropoli italiane. Solo più grande, decisamente più grande.

Arriviamo a Retiro, la grande stazione ferroviaria che funge da nodo di raccordo e smistamento anche per autobus e taxi. Saltiamo giù dal furgoncino e rimbalziamo sul primo taxi disponibile. Fatico ad ascoltare quello che mi racconta Andrea, sono troppo concentrato su ciò che vedo oltre il finestrino: palazzi altissimi e moderni affiancati a case coloniali; edifici barocchi e sprazzi di liberty frullati assieme, senza soluzione di continuità, come una pizza a cui si aggiungono mille ingredienti. Nel frattempo tra il Taxista e Andrea  nasce una discussione circa le cose da non perdere a Buenos Aires. Il Taxista, un po’ depresso, liquida la questione dicendo che non c’è nulla, è tutto lì. «Ma come è tutto lì?» Andrea scuote la testa. Ci accorgiamo che il Taxista ha un cognome italiano. Quella predisposizione allo scoraggiamento ha una matrice lontana.

Finalmente casa. Palermo è uno dei quartieri storici di Buenos Aires, una zona davvero interessante sotto molti punti di vista: vivibile e soprattutto vivace. Ma vivace è tutta la città con i suoi locali, i concerti, teatri e cinema, circoli e attività di ogni tipo.

L’appartamento che mi ospiterà necessita di un sacco di riparazioni. Andrea si è appena trasferito con la compagna Veronica ed ha avuto poco tempo per metterci mano. «È come Buenos Aires,» mi dice, «tenuta insieme col fil di ferro.» Un’immagine difficile da dimenticare. Ti aggiri per strade e quartieri con la sensazione che questa città non abbia mai avuto cuore di buttare via nulla. Ha conservato ogni cosa, riparandola e riadattandola.

Non c’è tempo da perdere, devo sfruttare il più possibile le giornate nella capitale. E io che faccio? Dimentico la macchina fotografica a casa. Abbandono voluto? Passeggiamo verso Belgrano, un quartiere che ospita una consistente comunità cinese. Anche qui le attività commerciali cinesi sono molto sviluppate, soprattutto i market. Belgrano dà l’idea di un quartiere piuttosto abbiente: le strade sono larghe, le case – come a Palermo – mostrano una facciata storica, ma sono conservate con una discreta cura.

Mi guardo attorno come un ebete quando, ignaro, poggio il piede su una delle mattonelle 50×50 cm che compongono il selciato. Una bomba d’acqua mi imbratta i pantaloni. «Attento alle mine anti-uomo». Andrea se la ride, poteva anche avvisarmi prima. Sotto la mattonella si era raccolta un bel po’ d’ acqua, succede spesso dopo gli acquazzoni. Se non volete farvi venire un colpo prestate attenzione a dove mettete i piedi. Pensate di essere Indiana Jones alla ricerca del Sacro Graal.

Sono giornate in perenne movimento e, se potessero, credo che i miei piedi urlerebbero. Non conto più le volte in cui percorro la Avenida Nueve de Junio – la via principale – avendo come punto di riferimento l’alto obelisco, il monumento alla nazione. Da lì si può raggiungere facilmente la Casa Rosada – residenza presidenziale – il Congresso e gli altri edifici amministrativi. La notte è ovviamente uno dei momenti più belli, soprattutto a Palermo. C’è molto fermento, molta voglia di fare e un desiderio di aggregazione che forse in Italia abbiamo smarrito o che io ho smarrito. Certo, sarà anche il viaggio in un paese diverso, ma è una vitalità diversa quella che permea Buenos Aires. Quasi fuori dal tempo.

Prendiamo come esempio le grandi manifestazioni di piazza. È incredibile come ci si muova in corteo a Buenos Aires. Io sono capitato nel bel mezzo di due grandi eventi: la festa della donna e lo sciopero nazionale degli insegnanti. Quando si scende in piazza a Buenos Aires lo si fa con la forza del numero. Una partecipazione che in Italia non è più pensabile e che forse ha visto il suo canto del cigno durante gli anni dei governi Berlusconi. I sindacati, le associazioni, ma soprattutto il coinvolgimento della gente nella vita pubblica ha ancora un grande valore. Non riesco a dare risposta a una domanda che mi lambicca il cervello e che fatico quasi a formulare. È la società argentina rimasta  ancorata a dinamiche quasi novecentesche e forse superate, o forse è l’Europa – l’Italia -ad aver perso questo dinamismo?

Cammino, cammino sempre, ma ancora non ho compreso davvero su quale misura si ragioni e le scarpe che indosso non sono il massimo. Scarpe comode, sempre e comunque. I consigli più semplici sono sempre quelli meno ascoltati. Ho imparato però a caricarmi con una colazione all’altezza per affrontare le giornate. Qui cornetti, brioches e dolcetti vari prendono il nome di facturas. Se siete amanti di dolci provateli tutti e più volte. Le medialunas sono il corrispettivo dei nostri cornetti, un po’ più piccoli e spalmati di burro. Mamma mia.

Ecco, appunto, la cucina in Argentina è proprio come le sue città, qualcosa che hai già provato ma che ti si presenta caricata all’ennesima potenza. Una sera Andrea e Veronica  mi portano in questo ristorante molto caratteristico, il Bellagamba: mobili in legno, immancabili foto di Carlos Gardel appese in ogni dove e un menù da ghiottone.

Ah, già che mi sono incartato nel vortice degli incisi, una chiosa economica. L’Argentina sta vivendo un periodo di forte inflazione. Attualmente un euro vale 17,96 pesos, ma la fluttuazione è costante. Questo significa che cambiare euro è sì vantaggioso, ma non aspettatevi il Bengodi. Il costo della vita non è lontano dallo stile europeo. Ma se siete nelle condizioni di dover risparmiare un po’, non è difficile cavarsela in scioltezza.

Torniamo alla comida. Dicevamo: il cibo, come l’Argentina, racchiude una sproposita ricchezza. Mi lascio incantare da succulente torte pasqualine e vorrei assaggiarle tutte, ma non voglio strafare così prendo due fette generose, pensando fosse giusto un antipastino. Invece quelle porzioni si sono rivelate fatali: sono lievitate nel mio stomaco alla velocità della luce. Certo ingozzarsi come un’oca non aiuta. Luciano Onder avrebbe da ridire sulle mie abitudini masticatorie.

Anche la tipica pizza porteña non verrà ricordata per digeribilità: vertiginosamente alta e ricoperta di mozzarella manco fosse la Shirley Eaton laccata d’oro in Missione Goldfinger.

Non starò a decantare le possibilità culinarie per i carnivori, confermo i sospetti, provare per credere.

In generale la costante è questa: la leggerezza non è di casa. Ogni volta che ci penso mi commuovo.

Il giorno seguente decido di provare la D200, l’occasione non potrebbe essere migliore, perché spenderò la mattinata a navigare sull’estuario del Rio della Plata. Per arrivarci bisogna spostarsi verso Tigre, un quartiere a nord piuttosto borghese. Da lì prendiamo un traghetto che compie un vero e proprio tour della zona. Dato che mi sono già rotto di scrivere, lascio spazio alla fotografia. Sara mi aveva consigliato di impostare la macchina su modalità semiautomatico, come prima esperienza di fotografia di viaggio potevo anche concentrarmi sui diaframmi. Ovviamente ho fatto di testa mia, provando a utilizzare anche i tempi. Risultato: abbiamo salvato giusto una foto.

Estuario del Rio de la Plata

Nei giorni successivi visito quartieri caratteristici come San Telmo, nota per i suoi mercati d’antiquariato e La Boca, preoccupandomi di seguire il tragitto impostomi da Andrea. La Boca non è più il quartiere malfamato di un tempo, ma in ogni caso non è consigliabile aggirarsi nelle vie meno turistiche, soprattutto in tarda ora. È davvero incredibile pensare che i migranti italiani vivessero in quelle abitazioni costruite in lamiera e tinteggiate con i colori del Boca Junior: blu e giallo.

Tappa obbligata al cimitero della Recoleta, ma visto che in quella particolare occasione non ho portato con me la camera, tanto vale rimandarvi agli ultimi articoli dove potrò parlarne con un minimo di appoggio visivo. Nel cercare questo luogo davvero indescrivibile chiediamo spesso ai passanti qualche informazione. Due volte su tre ci chiedono da dove veniamo e, sistematicamente, finiamo col trovarci di fronte il nipote di un italiano, un figlio di italiani, alcuni parenti italiani! Non ci siamo solo noi ovviamente, è una società, quella argentina, risultato della somma di tante migrazioni. So che è un’ovvietà, ma per una persona che non ha mai viaggiato oltreoceano, il nuovo mondo è davvero nuovo. Ho avuto come l’impressione di aver già incontrato quei volti e quei gesti in altre parti d’Europa, soprattutto in Italia. Eppure tutti a parlare quello spagnolo imbastardito! Inconsciamente mi chiedevo perché non usassero la loro lingua, cioè la nostra. Perché è appunto un nuovo mondo e quelle persone non sono più italiane, spagnole, tedesche etc. Sono argentine.

Dopo tanto riflettere me ne torno a Palermo. Scoprire l’acqua calda è sempre faticoso.